Tutti i bambini
hanno diritto ad un padre
e una madre.

Ascoltiamo i bambini!

L'articolo 12 della Convenzione ONU sui diritti dell'Infanzia prevede che: "Gli Stati Parti garantiscono al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità. A tal fine si darà in particolare al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale".


Il principio dell'ascolto del minore nelle procedure che lo riguardano è uno dei quattro principi fondamentali della Convenzione al quale tutti i provvedimenti relativi ai ragazzi dovrebbero ispirarsi. Esso discende direttamente dall'idea che il bambino sia portatore autonomo di diritti e non soltanto oggetto di tutela, che il cardine di tutta la Convenzione ONU. Il principio dell'ascolto delle esigenze e dei desideri del minore, già da tempo al centro del dibattito degli esperti di diritto minorile è stato recepito dalla Convenzione Europea sull'esercizio dei diritti da parte del minore (25 gennaio 1996) che, nel ribadire la validità del principio, ha disposto che i ragazzi partecipino ai procedimenti che li riguardano in quanto titolari di diritti (art 3, 4 e 9), assistiti da un avvocato o da un assistente sociale o altra "persona di loro scelta che li aiuti a esprimere la loro opinione."


Il sistema giuridico italiano sta, sia pure con una certa lentezza, prendendo atto di questa normativa internazionale, ma per il momento esso appare, rispetto a questo argomento piuttosto incoerente: il codice civile prevede infatti genericamente che il ragazzo venga sentito dal giudice, ma non detta regole univoche; a seconda dell'età (10, 12, 14, 16 anni), i ragazzi possono avere voce in capitolo, ma non in tutti i tipi di procedimenti che li coinvolgono. In particolare:
nella scelta del tutore il giudice deve sentire il giovane che ha compiuto i 16 anni (art 368)
nel caso di contrasti fra i genitori il giudice deve sentire il figlio solo se maggiore di 14 anni (art. 316)
solo nei provvedimenti che riguardino la sua educazione può essere interpellato il bambino che abbia compiuto 10 anni.
Ma una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 317 del 15 gennaio 1998), riferendosi direttamente alla Convenzione sui Diritti dell'Infanzia, ha sancito il diritto di un minore di 16 anni a vedere rispettate le sue decisioni, relativamente alla frequentazione del genitore non affidatario con il quale ha forti contasti (punto 2).

Appare ormai evidente da parte dei giuristi e degli operatori della giustizia una certa insoddisfazione per le limitazioni con cui il principio dell'ascolto viene applicato nel nostro ordinamento. Di qui la tendenza a riferirsi direttamente alla Convenzione in quei casi in cui sembra necessario affermare il protagonismo del bambino e il suo diritto a essere ascoltato.


Ma l'attenzione della nostra cultura giuridica rispetto alle norme internazionali è largamente insufficiente - denuncia Giuseppe Salm, magistrato della Cassazione - c'è tendenza a sbarazzarsene, a utilizzarle tutt'al più per l'interpretazione delle norme esistenti. E, se un genitore per avere schiaffeggiato il proprio figlio viene condannato sulla base l'articolo 3 della Convenzione - come avvenuto di recente - questo, aldilà dell'inevitabile clamore giornalistico che una sentenza del genere destinata a suscitare, non è di per sè un segnale sufficiente di innovazione del sistema.


Ma c'è anche chi nega che insistere troppo su questo terreno sia di per sè segno di cultura giuridica avanzata: nella Convenzione si assiste alla formalizzazione astratta di concetti come ascolto e interesse del minore; l'asimmetria tra adulto e bambino è inevitabile nel processo minorile ed è in qualche modo privo di senso affermare di continuo concetti che non possono avere una traduzione pratica - ha affermato Luisella Fanni, avvocato della famiglia, nel corso di un recente convegno.
Ma il tema dell'ascolto continua a suscitare l'interesse gli esperti: Più che nel processo civile, il principio dell'ascolto è stato applicato con maggiore incisività nel settore penale, - afferma Gianfranco Dosi, avvocato, esperto di diritto minorile. (cfr. box).
Nonostante tutto, il principio dell'ascolto ormai è uno dei cardini del moderno diritto minorile, un tema che sarà negli anni a venire sempre più al centro del dibattito giuridico che la Convenzione ha avuto il gran merito di anticipare.

 

I rischi di strumentalizzazione

Certo, i rischi esistono, specialmente per ci che riguarda le procedure di separazione, in cui la conflittualità fra i coniugi potrebbe portare al tentativo di strumentalizzare del bambino contro l'altro genitore; ma da questi rischi ci si può difendere assicurandosi che l'ascolto venga adeguatamente preparato con l'aiuto di uno psicologo e quindi si realizzi nel rispetto di certe regole e con determinate precauzioni. Fondamentale in questo senso è la collaborazione tra giudice e psicologo, in grado di garantire che l'ascolto del ragazzo avvenga veramente nel suo esclusivo interesse e senza violare le sue esigenze di riservatezza e di intimità.
Del resto la cultura psicologica, pur nell'indicare i rischi oggettivi insiti nell'abuso del principio dell'ascolto del minore, già da tempo convinta dell'opportunità di tenere conto delle esigenze e dei desideri dei bambini coinvolti nelle difficili situazioni del divorzio dei genitori, delle procedure di affidamento e di adozione e di mediare tra queste aspettative e quelle dei genitori...
Ascoltare il minore è un concetto complesso e ricco di implicazioni, che dovrebbe essere inteso non nel senso di interpellare i bambini sui provvedimenti da adottare, ma nel significato ampio di partecipazione dei minori ai processi che li coinvolgono, soprattutto come aiuto offerto dalle istituzioni perché essi possano riflettere sulla situazione che li riguarda, in modo da poterla comprendere, esprimendo nel contempo i propri bisogni profondi.
Ma, come rileva Annamaria Dell'Antonio che all'argomento ha dedicato qualche anno fa un attento studio, il problema di fondo è culturale e investe l'immagine che la società si è costruita del bambino e la considerazione che essa ha per la sua persona. Chi legifera sembra manifestare una certa diffidenza di fronte alle opinioni del bambino, soprattutto quando differiscono da quelle degli adulti che lo allevano... che solitamente non hanno cercato, vivendo con lui, di tenere conto anche delle sue opinioni e delle sue effettive esigenze.... A vari livelli la società trova difficile uscire da un'immagine di minore che va difeso e protetto ma anche gestito dall'adulto a qualsiasi età, perché sostanzialmente non in grado di autodeterminarsi. Non si tratta tanto di leggi e di procedure: ciò che deve cambiare, e che di fatto sta lentamente cambiando sia pure tra forti contraddizioni e mille incertezze, è l'immagine che la società ha del bambino, dei suoi sentimenti e delle sue opinioni: un dibattito culturale ormai centrale nella società italiana.

Elisabetta Porfiri


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