La Chiesa cattolica ed il matrimonio tra cristiani ed arabi
Sembra che non ci sia stato effetto scandalo per gli avvertimenti dissuasivi che la Curia romana ha rivolto a quei cattolici e a quelle cattoliche (soprattutto) che intendono sposare una persona di fede islamica. Probabilmente l'indifferentismo condiviso anche dai praticanti tutte le volte che il magistero ecclesiastico indirizza i suoi moniti sul terreno della morale sessuale e matrimoniale produce ancora il distacco. Tuttavia il problema ha natura così pregnante che non dovrebbe passare sotto silenzio. Infatti, da un lato esso coinvolge il piano della convivenza umana e civile, dall'altro impegna sul terreno specifico religioso e morale.
Quando monsignor Elio Antonelli, segretario della Conferenza episcopale italiana (Cei), sostiene che "i matrimoni misti con gli islamici non sono l'ideale e non sono nemmeno un fatto normale per un credente che voglia dare un'impronta di fede alla sua vita coniugale", pecca di poca carità di fronte alle 12 mila unioni civili fra italiani e musulmani, ma anche di scarsa diplomazia nei confronti della problematica islamica che tutti i paesi democratici si sforzano di mantenere nella compatibilità fra regole e sistemi di vita diversi.
In un mondo in cui possibili benefici della globalizzazione sono avvertibili soprattutto nella necessità di dare senso alla convivenza pacifica di una pluralità di nazioni e stili di vita, molto pericoloso spingere le differenze alla sfida. Anche il mondo politico è in ritardo: la presunzione occidentale della propria autosufficienza e superiorità non ha preso nella dovuta considerazione il dialogo culturale con paesi di tradizione radicata in storie lontane dalla nostra e tenute separate fino alla fine della seconda guerra mondiale, né si è resa conto dell'importanza di confrontarsi con quei sistemi in cui la religione e, in particolare, una religione del libro sostanzia la politica. Il rapporto diplomatico di prevenzione dei conflitti passa infatti attraverso un uso politicamente corretto della cultura: l'Islam non è un sistema monolitico e la teologia musulmana non è solo integrista. Il nostro tempo di trasformazioni prima culturali e poi mercantili: trascurare il dibattito che contrappone tutte le religioni ai mutamenti storici tanto miope da rischiare la cecità.
Non è solo il Cristianesimo infatti che si confronta con incognite quali la clonazione, per la quale i testi sacri non contengono indicazioni immediatamente normative. Non solo per noi cristiani diventa inadeguato il solo divieto senza intelligenza profonda dei fini delle ricerche e della possibilità di produrre cellule che possano ricostruire parti del corpo danneggiate e distrutte oppure di creare replicanti e mostri. D'altra parte la Bibbia e il Corano non contengono prescrizioni vincolanti sull'abbigliamento femminile, anche se sono stati usati come vincolo per salvaguardare la pudicizia solo femminile. Oggi i problemi sono sempre più gravi e varrebbe la pena che le chiese si interrogassero su come aiutare gli esseri umani davanti a responsabilità che coinvolgono coscienze rese forse meno mature e avvedute proprio a causa dell'intolleranza sostanziale delle religioni che, quando impongono l'ubbidienza, possono percepirsi come poteri forti, ma non giovano al messaggio di cui sono pur sempre portatrici.
Anche per ciò che concerne uno dei diritti personali più sacrosanti, quello di formare una famiglia nella libertà di una scelta. Non sono le chiese ad aver inventato il matrimonio; tutt'al più lo hanno santificato e benedetto. Le chiese cristiane nel sacramento del matrimonio danno agli sposi la funzione di ministri del rito: il sacerdote è solo testimone. Purtroppo i cattolici per secoli sono stati indotti a ritenere l'amore un elemento secondario rispetto al dovere procreativo e a quel remedium concupiscentiae che consente anche di ingravidare una sposa per puro egoismo, a prescindere dal suo desiderio di diventare madre. Di fronte a questa fondamentale istituzione umana la chiesa di Roma ha assunto una posizione dogmatica nel trattare l'unione coniugale esclusivamente come matrimonio cattolico anche per chi cattolico non è; e a i tempi della normazione del divorzio è stata tentata dalla guerra di religione. Anche nel caso delle coppie miste tra diverse confessioni cristiane il desiderio di garantire l'educazione cattolica dei figli è stato spesso un impedimento a riconoscere la santità del legame d'amore.
Per riprendere altri elementi dell'informazione di attualità, non può essere sottovalutato il richiamo, fatto dalle autorità religiose, per l'uso più prudenziale di quegli annullamenti canonici che la pubblica opinione definisce divorzi cattolici e che sono spesso carichi di conseguenze peggiori del divorzio civile, perché quando un matrimonio viene giudicato invalido, non sussistono responsabilità di mantenimento neppure della prole eventualmente generata. Bene fa la chiesa a richiamare i contraenti del matrimonio sacramentale a tenere fede alle loro scelte. Tuttavia le querimonie sulla corruzione sociale che disgrega le famiglie non dovrebbe essere così semplicisticamente scaricata sul sistema e i suoi vizi: le chiese vivono in questo mondo, i cattolici non sono estranei alle dinamiche della storia. Non è facile per nessuno chiamarsi fuori.
Non è facile neppure chiamarsi fuori dalla realtà multietnica che sta diventando il contesto reale delle città. Purtroppo le società sono rimaste così lontane le une dalle altre che noi occidentali viviamo come se tutti avessero le nostre stesse abitudini e credenze e ignoriamo non solo quanto sia difficile imparare a convivere il rapporto di coppia fra noi, ma ingenuamente pensiamo che l'indiano, l'induista, il confuciano, il musulmano debbano diventare come noi.
Sul piano civile non mancano le difficolàt, soprattutto per tutelare la libertà delle donne coniugate con cittadini provenienti da paesi di diritto patriarcale; ma compito delle autorità sia civili, sia, si vorrebbe dire soprattutto, religiose è quello di sostenere la coppia che affronta la vita del cammino coniugale e genitoriale.
Fa molta impressione che non manchino capi di diocesi che, come il cardinale Biffi a Bologna, semplificano ogni questione relativa a quei diversi che popolano le nostre città e che migliaia di buoni samaritani cattolici (e non) assistono con rispetto e solidarietà, sostenendo che il problema si risolve con le conversioni.
E' tragico rendersi conto che sia pure in termini soft, siamo ancora agli autodaf e al 1492 dei re cattolici che espulsero dalla Spagna gli ebrei che non si facevano convertire.
C'è paura di perdere la gara dei numeri? Da molti è stato giudicato positivamente il riconoscimento, espresso dallo stesso cardinale Ruini, che i cattolici sono minoranza. Essere cristiani non è facile ed è onesto riconoscere che, a questo punto della storia, l'universalismo cattolico è ben lontano dallessere realizzato. Ma il Vangelo non dice che lo si attua con il rigore della spada, ma con la carità autentica dell'amore per un prossimo che tale sempre, a partire dal più svantaggiato. Gli evangelisti testimoniano che maestri di questa solidarietà sono gli altri, i diversi, i samaritani e perfino i romani.
Per questo ci domandiamo a quale società del futuro stia guardando la chiesa di Roma: una società in cui i diversi, gli stranieri siano accolti senza pregiudizi di razza o di etnia, purché si integrino nella confessione di fede cristiana? Le società umane sono divise anche sul nome di Dio ma non possiamo cercare di far prevalere un dio su un altro come se credessimo che gli dei sono molti. Molti sono i nomi con cui gli uomini chiamano Dio, quel Dio che ebrei e musulmani sentono così totalmente Altro da non poterne neppure rappresentare l'immagine. Quando un musulmano dice che non c'è altro Dio all'infuori di Allah, dice in realtà che non c'è altro Dio all'infuori di Dio. Se la religione non si fa strumento di condivisione di fede e di reciprocità solidale viene meno alla propria fedeltà a quel Dio che, comunque sia invocato, è misericordioso e rifiuta la guerra.
L'integrazione, anche quella nostra quando viviamo non senza pericoli, da stranieri in una terra che non è quella in cui siamo nati, richiede tolleranza e dialogo. A partire dagli elementi fondamentali della vita. Per gli immigrati significa il lavoro, la casa, il ricongiungimento con la famiglia, l'assistenza non solo sanitaria, la relazione civile con la comunità di accoglienza. E la libertà religiosa, quella che fa sì che la moschea sia una chiesa da rispettare e con cui stabilire una convivenza senza sfide.
La religione non è la Coca Cola che adegua tutti senza problemi. Ha bisogno di un livello più degno. A partire dalla disponibiliàt ad accogliere con amore due diversi che si sposano e a sostenerli nelle reciproche responsabilità.